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Comunicato stampa presentato il 6 novembre 2006 in occasione di un incontro pubblico sulla finanziaria 2007
promosso dalle organizzazioni sindacali confederali


Il Coordinamento dei Ricercatori Precari, nodo ferrarese della Rete Nazionale Ricercatori Precari, si è confrontato sui contenuti della finanziaria in materia di università sia con il ministro Fabio Mussi, lo scorso 23 ottobre, sia con i parlamentari dell’Ulivo ferraresi, nell’ambito di una iniziativa organizzata ieri dai sindacati confederali, onorevole Dario Franceschini, onorevole Rosella Ottone e onorevole Roberto Soffritti.

Anzitutto sono stati loro consegnati i dati ufficiali del censimento nazionale del personale di ricerca precario delle università: si tratta dei primi e unici dati esistenti sulla precarietà negli atenei italiani, ottenuti grazie al censimento da noi promosso durante il primo convegno nazionale sulla precarietà nell’università e nella ricerca (Ferrara 28-29 ottobre 2005) ed effettuato tramite il centro studi della CRUI. Il censimento ha "contato" i ricercatori precari di 33 dei 77 atenei presenti in Italia: 15 mila persone, equivalenti al 37% del personale delle università. La stima nazionale è di quasi 40.000 ricercatori precari e nel numero non sono inclusi i professori a contratto, i dottorandi, gli specializzandi e il personale tecnico amministrativo con contratto a tempo determinato. I dati relativi al nostro ateneo contano oltre 400 ricercatori precari e ricalcano quelli della media nazionale.
E’ quindi del tutto inesatto da parte del ministro affermare che l’Italia ha un numero insufficiente di ricercatori riconoscendone solo 67.000 ed ostinandosi a contare solo il personale strutturato. Questo governo deve riconoscere che i ricercatori precari costituiscono ormai la metà del personale di ricerca di questo paese e che sono una risorsa irrinunciabile: l’unica altamente qualificata e che già svolge lo stesso lavoro del personale strutturato, sia come ricerca che come docenza. A fronte di questa situazione la bozza di finanziaria prevede fondi aggiuntivi per l’ assunzione di 2000 ricercatori in tre anni (4000 se verrà introdotto un emendamento auspicato dallo stesso ministro): una risposta non adeguata ai moniti dell’Europa e una beffa nei confronti di quei 40.000 precari, che vedono ormai sfumare la possibilità di continuare a lavorare come ricercatori. Riguardo a possibili nuove procedure concorsuali che premino il merito e assicurino trasparenza, il ministro ha prospettato diversi scenari, nessuno dei quali percorribili se non introducendo nuove leggi ( e non decreti ministeriali come previsto in finanziaria): rimandiamo dunque qualunque commento ai fatti anziché ai propositi, visto che il programma dell’unione è pieno di buone intenzioni in materia di potenziamento della ricerca pubblica e di lotta alla precarietà, intenzioni purtroppo totalmente disattese da questa finanziaria.

Riguardo all’agenzia di valutazione, che dovrà costituire il perno sul quale basare i futuri finanziamenti per la ricerca, al momento è un contenitore vuoto. Nelle intenzioni del ministro Mussi il numero dei nuovi ricercatori assunti dovrebbe costituire un criterio positivo di valutazione ai fini del finanziamento: concordiamo, ma abbiamo fatto presente che è il governo che deve assumersi la responsabilità di assicurare nuovo e qualificato personale di ricerca al paese, stabilendo il budget per il reclutamento, separandolo da quello per gli avanzamenti di carriera, e non demandando questo cruciale passaggio all’autonomia universitaria. Il ministro non ha fornito risposte pubbliche riguardo alla richiesta di abrogazione di alcune delle norme più dannose del Decreto Moratti, che sanciscono e aggravano i privilegi dei docenti strutturati ed anziani, sottraendo risorse vitali al reclutamento di nuovi ricercatori.

La finanziaria prevede un aumento dell’FFO inferiore all’1% annuo, insufficiente di per sè a coprire il costo della vita. Facile prevedere nel probabile aumento delle tasse universitarie la risposta delle università per compensare questi tagli. Sorprendente anche che a fronte di 1000 milioni di euro stanziati a favore della ricerca privata questo governo non abbia trovato risorse aggiuntive per quella pubblica. Dato che il potenziale di ricerca dei privati in Italia è in gran parte da inventare, non vincolare questi incentivi all’assunzione a tempo indeterminato di ricercatori, finisce col relegare l’università in un ruolo subalterno di serbatoio di personale qualificato a basso costo. Sono incentivi per la ricerca privata che non combattono la precarietà, ma la favoriscono.

Se la ricerca è una risorsa strategica di un paese (e ben lo sanno gli Stati Uniti dove gli investimenti in ricerca sono per la stragrande maggioranza pubblici), non può essere assoggettata ad interessi privati: riteniamo certamente auspicabile coniugare ricerca, trasferimento tecnologico e sviluppo, ma non si possono ridurre agli obiettivi di una industria privata quelli di un sistema universitario che deve essere espressione degli obiettivi della nazione, sia come capacità di ricerca che come capacità di istruire fasce sempre più ampie di popolazione. Difficile ritenersi soddisfatti del primo operato di un governo che non mostra segni di discontinuità con il passato: l’università pubblica che esce dalla legge Moratti e dalla finanziaria 2007 ci appare sempre più vecchia, sempre più povera di risorse e sempre più ricca di precari.