Documento depositato in occasione dell’ audizione alla Commissione Cultura della Camera sul DDl Moratti Roma, 11 Ottobre 2005
La ringraziamo sig. Presidente per averci invitato ad esprimere in questa sede il parere dei ricercatori precari che lavorano all’interno delle università e che tramite nostro possono dare voce alla loro posizione su questo provvedimento. I ricercatori precari sono infatti tutti accomunati dalla stessa condizione di precarietà lavorativa, cui questa legge non dà alcuna risposta risolutiva, e che anzi viene presentata dal ministro come condizione necessaria ed auspicabile per raggiungere gli standard europei . Se il Ministro si riferisce al numero di precari, ebbene l’Italia detiene già il triste primato del maggior numero di ricercatori precari nelle università, ma il Ministro lo ignora, poichè il ministero non sa quanti ricercatori precari esistano in Italia. E da qui la prima pesante critica alla volontà di riformare l’Università senza nemmeno conoscere il numero coloro che vi lavorano. A questo quesito cercheremo di dare noi stessi risposta nell’ambito del primo convegno nazionale sul precariato nell’università e nella ricerca che si terrà a Ferrara il 28 e 29 di ottobre. La stima che possiamo oggi presentare si riferisce a oltre 60.000 persone coinvolte nei processi più evoluti di produzione e trasmissione della conoscenza, delle loro famiglie di origine, stanche di far fronte con i loro sacrifici ad una situazione creata nel corso degli anni da politiche improvvide in materia di ricerca e di università; e delle loro famiglie di nuova costituzione che di queste scelte saranno le prossime vittime. Il nostro giudizio sulla riforma è quindi pesantemente negativo, per i seguenti motivi:
- Lascia intatti i privilegi esistenti.
- Non introduce alcun parametro di valutazione per la progressione di carriera per il ruolo di associato e di ordinario, lasciando immodificate le procedure di reclutamento per entrambe le fasce fatta eccezione per l’idoneità nazionale. Fa riemergere lo spettro dell’ ope legis, nonostante i problemi dell’università italiana affondino le radici proprio nelle ope legis del passato.
- Precarizza la ricerca, introducendo un nuovo contratto a tempo determinato, il contratto di ricerca, e la possibilità di contratti pluriennali di insegnamento a titolo gratuito, svilendo il ruolo della docenza universitaria a scapito della dignità del docente e di quella degli studenti cui esso si rivolge.
- Prevede l’abolizione del ruolo di ricercatore a partire dal 2013, senza però l’impegno a garantire in alcun modo la copertura finanziaria per il reclutamento di nuovi ricercatori fino a tale data e non prevedendo capitoli di spesa separati per l’arruolamento rispetto alla progressione di carriera. L’abolizione del ruolo di ricercatore è un segnale chiarissimo da parte di questo governo di considerare a ricerca pubblica nelle università pubbliche come una bene sacrificabile, spezzando il legame indissolubile tra ricerca e didattica che è alla base stessa del concetto di università.
- Istituisce la figura del nuovo professore straordinario, attraverso la quale potenti interessi economici, e non solo, potranno pesantemente incidere sui contenuti della ricerca, sul governo delle università e sull’utilizzo delle risorse pubbliche per interessi privati. Nonostante i proclami del ministro tutto ciò non ha nulla a che vedere con il modello universitario statunitense dove la ricerca di base, finanziata con risorse PUBBLICHE, è e continua ad essere privilegiata rispetto a quella applicata.
Su di un punto ci troviamo pienamente d'accordo con il Ministro: per questa legge non ci sono margini di miglioramento. È una legge inutile e dannosa per l’università pubblica, per i ricercatori precari che vi lavorano, per la ricerca, per gli studenti, per il Paese. Una riforma dell’università dovrebbe invece avere il coraggio di toccare i privilegi, di affrontarne i problemi strutturali, in nome di un progetto e non sotto la spinta di emergenze di bilancio o elettorali. Abbiamo altresì l’obbligo di segnalare come questo provvedimento sarà comunque vanificato da altri di questo stesso governo, in particolare dall’ art. 28 comma 1 della legge finanziaria che fissa come limite di spesa per il personale a tempo determinato, anche per gli enti di ricerca e le università, il 60% della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2003, comma che andrebbe, pertanto, eliminato.
Vi ringraziamo per averci dato la possibilità di esprimere il nostro parere, di cui vi lasciamo memoria scritta e vi auguriamo buon lavoro, affinchè questa commissione possa responsabilmente interpretarne i contenuti.
Rete Nazionale Ricercatori Precari Nodo di Ferrara
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